TROSTHEVILLE

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  1. Ilbrigante K
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    TROSTHEVILLE

    Tanto tempo fa, in un passato troppo lontano anche per gli storici più fantasiosi, nella parte più estrema dell’occidente, viveva una piccola comunità di agricoltori che, nelle virtù della semplicità, aveva trovato la sua fonte di serenità.
    Bodo e Bido i contadini, fondatori e unici abitanti del villaggio, non avevano vissuto sempre in armonia, vinti molto spesso dalla reciproca gelosia per i loro rispettivi raccolti. Ma quando si resero conto che avrebbero triplicato le loro ricchezze, se il primo si fosse specializzato nella produzione del pane e il secondo in quella delle patate, trovarono il punto di equilibrio del loro bene sociale.
    A fine di ogni mese, secondo il principio economico del costo opportunità, Bodo donava all’amico la quantità di pane che quest’ultimo avrebbe prodotto in cinque mesi. E, naturalmente, lo stesso discorso valeva per le patate che Bido gli dava in cambio.
    Ricavavano, così, molto più tempo libero da dedicare agli svaghi: Bodo lo impiegava producendo patate, mentre Bido non voleva scordarsi come si faceva il pane, pur essendo meno bravo del socio.
    A garantire l’armonia tra i due, forse, fu fondamentale il fatto che entrambi non erano sposati, non essendoci donne a TROSTHEVILLE: anche se i più maligni sospettano che si scambiassero mutue carezze come surrogato. Noi ci sentiamo di rifiutare questa tesi, non tanto perché siamo poco avvezzi ai pettegolezzi, quanto perché dubitiamo che potesse esistere una società così avanzata, “tanto tempo fa!… in un passato troppo lontano anche per gli storici più fantasiosi”.
    Un giorno Bodo e Bido, proprio mentre si scambiavano serenamente le loro derrate, ricevettero la visita di un forestiero che, francamente, non si presentò nel migliore dei modi: « salute a voi o villani!... nella accezione più bonaria e più antica del termine, si intende!.. quella che nell’etimologia che nutre la semantica vi definisce nobili abitanti di campagna… rispettabili contadini»!
    I due che invece erano troppo signori per imporgli un linguaggio meno tronfio gli risposero cordialmente: « salve straniero, cosa ti porta a TROSTHEVILLE?».
    «Sono qui per il bene comune. Il mio, ma soprattutto il vostro!» - e, rapiti gli sguardi dei nostri, continuò - «io sono l’amministratore che cura gli interessi di una comunità. Emano e applico le leggi che garantiscono diritti e doveri dei suoi componenti, affinché la concordia regni sovrana, nella più auspicabile prosperità di tutta la giurisdizione che mi compete. In cambio chiedo solo una modesta razione delle vostre risorse, parte della quale verrà messa a disposizione della società, per ogni evenienza».
    Alla fine Bodo e Bido, che faticavano a capire quei ragionamenti, cedettero alla retorica di piombo con cui venivano proposti. Fu così che l’amministratore divenne il primo sindaco di TROSTHEVILLE; e forse, nei suoi rappresentati c’era un inconscio desiderio di facce nuove che agitassero la monotonia del villaggio.
    Qualche mese più tardi, dopo un’estenuante campagna elettorale, il ruolo del primo cittadino, che era arrivato per ultimo, fu istituzionalizzato con una tornata elettorale infrasettimanale. Anche se restarono forti dubbi sulla regolarità del quorum, avendo votato solo un terzo degli aventi diritto… ma forse l’unico candidato in lizza non volle correre rischi, pretendendo che si votasse in un giorno lavorativo.
    Arrivata la primavera, i nostri contadini cercarono di razionalizzare i loro campi, per far spazio a nuovi tipi di colture suggeriti dal sindaco. Costui li raggiunse in compagnia di un distinto signore con bombetta, monocolo e una piccola valigetta che lasciava intuire chi fosse. «Miei cari figlioli ho il piacere di presentarvi il dottor Panza, da oggi il nuovo medico ufficiale del villaggio». Bodo, abbastanza incuriosito, chiese al sindaco maggiori dettagli su quella nuova presenza, la quale, senza un formale invito a presentarsi, proruppe: «mi chiamo Endrigo Panza, dottore emerito in medicina totale… riconosciuta e auspicata! Il mio compito principale è quello di garantire la vostra integrità fisica, nei malaugurati momenti in cui vi dovessero mancare quelle forze, che sono troppo importanti per la salute generale del villaggio. Possiedo i migliori ingredienti per le panacee più efficaci, anche contro i mali più estremi». «Sei uno stregone?», chiese improvvisamente Bido, ricordando i racconti di filosofia alchemica che aveva sentito dal nonno. Ma la domanda non piacque al dottore, il quale, con quella fierezza che non si arrende mai alla discriminazione, se non nelle ferite del proprio orgoglio, pensò subito di stabilire le giuste distanze sociali da mantenere a TROSTHEVILLE: «stolto zoticone, questa è la prima e l’ultima impertinenza che concedo alla tua inguaribile ignoranza» - e, con la rabbia che mutava in boria, chiosò - «come se il giuramento di Ippocrate non ci avesse già liberati dalle nostre immagini esoteriche, verso figure più familiari e più rassicuranti»!
    Bodo, meno esperto di incantesimi di Bido, ricordava vagamente quello di Ippocrate, ma si scusò per la sfrontatezza dell’amico, e garantì al dottore una confortevole permanenza nel villaggio.
    «Ho deciso di stabilirmi in quel casolare laggiù» disse l’erudito, indicando una vecchia abitazione trecento metri più a sud della casa dei due. «Ma quella è ormai uno dei nostri depositi per le scorte alimentari». Panza non volle sentire ragioni: «terrò volentieri le patate come anticipo per le mie consulenze, mentre potrete riprendervi i sacchi di farina, in cambio di una congrua quantità di pane. Inoltre vi chiamerò qualora il casolare avesse bisogno di modifiche strutturali».
    Bodo e Bido, più intimoriti che conquistati, tutto sommato accolsero ben volentieri il dottore, per i vantaggi che una tale personalità avrebbe garantito all’intera comunità. Dopotutto, un conto è pensare di stare bene, un altro è averne la certezza con il parere di un esperto: anche in quegli istanti in cui ti sembra di svenire da un momento all’altro.
    Finita l’estate, mentre i nostri si recavano in municipio, il carro con cui viaggiavano, che non era omologato al peso dei meriti del sindaco trasmutati in pane e patate, perse una ruota e si inclinò su un lato.
    Dopo aver vanamente provato e riprovato a raddrizzarlo, Bodo e Bido furono assaliti dal panico, pensando a quanto sarebbe potuto costare quell’incidente. Era infatti già capitato che lievi ritardi dei pagamenti avessero aumentato notevolmente le pretese delle istituzioni, particolarmente spietate nelle more.
    I due erano già disperati, quando videro uno sconosciuto che, con in mano un’ordinanza del sindaco, veniva incontro a loro in marsina, cilindro e un paio di babbucce orientali ai piedi, che testimoniavano tutto il proprio estro globale.
    «Mi scusi signore! Può aiutarci a sollevare il carro? Forse possiamo aggiustarlo in tempo!». «He eh eh» esordì sardonico il forestiero. «Lor signori mi perdoneranno, ma io non ho licenze per lavori manuali… sono uno psicologo, con un master in sociologia!». «Psicologo?... ma cosa significa?».
    «Io mi guardo intorno senza il lusso di potermi distrarre. Codifico il linguaggio del vostro libero arbitrio attraverso le vostre azioni che, nel passato, vogliono svelarmi le loro intenzioni future. Ho qui un’ordinanza del sindaco con cui mi legittima a mettermi a disposizione della vostra serenità psichica, per la modica cifra di qualche chilo di pane e di patate a seduta, da versare in contanti e senza rate».
    Bodo e Bido, che avevano deciso di fondare TROSTHEVILLE nella parte più estrema dell’occidente proprio per star lontano da zingari e fattucchiere, cominciarono a spazientirsi, per le esose pretese di questi “turisti” dalle virtù astratte.
    Li costringevano ad aumentare l’intensità del ciclo produttivo, con drastiche riduzioni del tempo libero. Ma erano ormai diventati così rispettosi delle istituzioni che, alla fine, fecero posto al nuovo arrivato.
    Presto, però, si accorsero che la loro presenza era gradita solo nei giorni feriali. Durante la festa del santo patrono - titolo riservato al nonno del sindaco per aver profetizzato un regno al nipote in tempi non sospetti - Endrigo Panza non volle che partecipassero al torneo di “cirulla”. Temeva che quelle ruvide mani, svezzate tra l’aratro e la zappa, sciupassero irrimediabilmente le carte.
    Ma se all’inizio si sentirono piuttosto mortificati dalla noncuranza dei notabili di TROSTHEVILLE, in seguito furono gli stessi Bodo e Bido ad alienarsi dalla loro incipiente rapacità.
    Un giorno, per evitare l’ansia che solo una visita di cortesia dello psicologo causava loro, per il timore di dovergli pagare anche un semplice saluto, i nostri decisero di fare una passeggiata nella parte meridionale del loro podere. Giunti al confine con la natura più rustica, videro un altro ospite che, in un logoro saio senza maniche, si allontanava con un quadrupede zoppo carico di frumento.
    «Mi scusi! Lei chi è? che ci fa nel nostro terreno?» chiese Bodo, alquanto sorpreso. «Io sono il brigante!». «E chi sarebbe il brigante?... cosa ci dà in cambio del nostro raccolto?», domandò Bido, cercando di intuire quale fosse la specialità di quel curioso personaggio. «In cambio? Io non do niente in cambio!... prendo e basta»; e prima che gli sguardi attoniti dei due contadini si liberassero dallo stupore, si era già dissolto oltre le colline limitrofe con il suo quadrupede zoppo.
    A questo punto – direte voi – entra in scena un avvocato: niente affatto! Siamo di fronte ad una società estremamente stilizzata, e di bandito ne basta uno.
    Immediatamente, Bodo, pensò di recintare il suo terreno con del filo spinato per proteggersi da nuovi furti. Mentre Bido, meno irascibile e più fatalista, faticava a notare la differenza sostanziale tra l’attività del brigante e quelle degli altri abitanti del villaggio.
    Passarono giorni, e poi mesi, senza che nessun evento straordinario turbasse la ormai consolidata routine della comunità. Tanto che al sindaco balenò l’idea di fondare una loggia massonica per vincere la noia che si stava impossessando di TROSTHEVILLE. Ma la sua popolazione non era cresciuta di molto, e sacrificare le viscere dei due villani in qualche rito mistico, sarebbe stato un costo troppo elevato per il bilancio dello Stato. Quindi, non restando in alternativa che i dottori, si ritenne opportuno di differire il progetto, in attesa che la cittadina potesse vantare qualche altro abitante più superstizioso.
    In seguito, la cittadinanza fu negata a due magistrati per paura che effettuassero controlli fiscali, mentre fu concessa molto volentieri a Venanzio Gatti: un reporter di cronaca politica che fondò “IL GIORNALE DI TROSTHEVILLE”.
    Considerando che Bodo e Bido non sapevano leggere e che le personalità influenti ricevevano copie gratuite, l’esercizio editoriale risultò costantemente in perdita.
    Ma il sindaco, che non nascondeva mai le sue ambizioni per città più prestigiose, decise di farne un mezzo di propaganda: caricandone i costi sull’erario. Ne risultò un’ulteriore riduzione del tempo libero dei due contribuenti… ridotto oramai a qualche istante della domenica mattina.
    Fu proprio in uno di questi momenti tanto attesi che, mentre i nostri si riposavano sotto il pergolato della masseria, si presentò ai loro occhi un grottesco personaggio. Era addobbato con una canottiera gialla, un paio di bermuda marroni e due stivaletti rossi in pelle di “minollo”… chiaro frutto di quell’estro ricercato che gli stilisti sanno offrire solo agli artisti.
    Improvvisamente, accompagnato da uno strumento a metà strada tra un flauto ed una chitarra, il funambolico tizio iniziò a cantare a squarciagola, mandando completamente in estasi i due ortolani, che non avevano mai assistito a niente di più sublime.
    «Meraviglioso! Fantastico!... ma come fai a parlare in un modo cosi speciale?» domandò Bido, ancora sedotto da quella singolare esibizione. «Io non parlo, ma canto!», e fiero l’artista continuò: «l’arte non si spiega… si contempla! Nel libero esercizio del suo talento. Ma soprattutto costa! Tornerò la prossima settimana, e mi aspetto una grande quantità del vostro raccolto, che mi ricompensi anche per la prestazione di oggi». E si allontanò senza salutare con lo strumento a tracolla.
    I nostri erano già abbastanza carichi di lavoro, a malapena riuscivano a soddisfare le pretese istituzionali, e quelle dei loro concittadini importanti. Ma per riascoltare quel mirifico spettacolo avrebbero pagato, in una sola volta, tutto ciò che avevano già speso per le parcelle del dottore e per le “fatture” dello psicologo.
    Basco Granata, che aveva mutuato il nome d’arte dal copricapo militare che indossava, li aveva proprio stregati.
    Francamente, questo ambizioso saltimbanco di Atena, non aveva nessuna speranza di essere ricordato nell’empireo dei poeti. Almeno non più di quanta ne abbiano due impronte di piedi di conservarsi nella battigia di una spiaggia.
    Era costantemente fuori metrica, con gli accenti delle sillabe sempre nel posto sbagliato, in preda a continue stecche e stonature. Cantava un’infinità di sciocchezze ma, simulate all’interno di un’accettabile melodia, sfuggivano all’orecchio meno attento. In virtù di quell’inspiegabile magia che solo la musica possiede, quando eleva tra le muse anche la prosa più scadente.
    Il sindaco non amava Basco, e lo considerava un demagogico ciarlatano. Ma, nel rapporto con i suoi fans, non vedeva quella malizia ideologica che potesse minare l’ordine costituito. Così si oppose all’istanza di esilio proposta dai medici, invidiosi del successo del cantautore. Lo psicologo in particolare fu sentito pronunciare le seguenti parole: «mi fa una rabbia il fatto che vola pur non essendo mai andato a scuola».
    In realtà, il primo cittadino aveva ben altri progetti per il menestrello poco gradito, una volta che si fosse redento dalle sue velleità artistiche.
    Durante una partita a carte in municipio, il sindaco, con quel capriccio tipicamente borghese che non si gode il proprio ozio se non pianifica le fatiche altrui, valutò la possibilità di scavare una miniera nelle colline circostanti, giudicando Basco Granata il più indicato a prendere in mano pala e piccone.
    In verità – aggiungiamo noi – un altro potenziale minatore era senz’altro Venanzio Gatti: il reporter. Ma era il pupillo dell’amministratore che lo coccolava spesso, anche perché, di tutta la TROSTHEVILLE da bere, era certamente il più frustrato.
    Figlio di una famiglia liberale della “Bordinia”, era di bell’aspetto, d’intelligenza sufficiente, con una cultura sommaria. Ma se ci fossero state donne a TROSTHEVILLE – siamo certi – avrebbe esaltato i sogni proibiti di qualche popolana delle risaie, a cui pare di indossare una corona regale se si sposa con un semplice consigliere comunale.
    Si sa!.. le storie d’amore, nei racconti in cui non sono l’argomento principale, servono solo ad allungare il brodo. Ma noi siamo già andati oltre le nostre intenzioni, e non vorremmo romperci le palle prima di arrivare alla fine. Quindi Venanzio deve continuare a farsi le pippe, e garantiamo solo l’imminente arrivo in città delle mogli del sindaco e del dottore, anche se non ci fermeremo ad aspettarle.
    Bodo e Bido, da quando era comparso Basco, pensavano di aver trovato il senso della loro vita… anche se forse, un senso, la loro vita non ce l’aveva.
    Ormai passavano i giorni in funzione di quel breve attimo della settimana in cui avrebbero sentito cantare Granata, con capriole, piroette e balzi talmente prodigiosi che qualcuno iniziò a sospettare che fosse arrivata la droga a TROSTHEVILLE.
    I costi dei due lievitarono enormemente e furono costretti ad indebitarsi. Ma, pur di non rinunciare al concerto, si tolsero il pane di bocca e lavorarono anche di notte.
    Purtroppo i debiti son secondi solo alla morte quando decidono di non dare tregua, e spesso si alleano con lei… specie quelli di un fisico malnutrito: Bido si ammalò.
    Bodo, svegliato in piena notte dal delirio dell’amico, corse immediatamente dal dottore, il quale, finalmente, aveva la possibilità di curare qualcosa di diverso dai propri interessi.
    Fino ad allora si era limitato ad intuire qualcosa che non andava in chi accusava un’emicrania o un mal di pancia, suggerendo la visita di uno specialista: seppur con quello stile dialettico che, col termine latino di qualche batterio, serve ad evitare almeno il ricovero della propria coscienza.
    Panza si alzò dal letto solo dopo aver sentito bussare per mezzora. «Ma chi cavolo rompe a quest’ora della notte?» chiese irritato, dopo aver aperto la porta del casolare usurpato. «Sono Bodo dottore! Bido sta molto male, deve correre subito a casa sua!». « Ma sei impazzito? Ti sembra un’ora di servizio questa?» rispose il dottore che non accennava a diminuire la sua collera. « Ma domani potrebbe essere troppo tardi! Vaneggia e ha la febbre molto alta» supplicò Bodo.
    «A me sembra che sia tu a non stare molto bene… nella testa! Hai almeno una vaga idea di quanto possa costarti un mio intervento a quest’ora?». «Pagherò qualsiasi cifra, ma vi prego di seguirmi a casa di Bido», garantì Bodo!... che, per l’amico, avrebbe rinunciato per sempre anche a rivedere Basco. «Stupido idiota patentato, tu non sai di cosa parli» - aggredì il dottore - «con tutto quello che già mi dovete, dovreste lavorare per un anno intero per pagarmi lo straordinario… ed io non faccio sconti a nessuno. La mia laurea me la sono guadagnata, e tu non hai la più pallida idea di quanti chili di pane e quintali di patate mi sia costata!… una quantità che tu non hai mai visto, caprone!». E chiuse, contemporaneamente, la porta e le speranze di Bodo.
    Mentre ritornava a casa, oltre alla preoccupazione per il socio, sembrava scosso anche dalle parole del dottore. Cercava di capire la ragione che l’aveva spinto a tanti sacrifici per laurearsi. «Ma perché non si è mangiato direttamente le sue patate senza stressare il cazzo a noi?». Voi lettori navigati, di un sistema capitalistico, naturalmente sorridete a tanta ingenuità, ma per la filosofia primordiale di TROSTHEVILLE rimase un dilemma irrisolto.
    Come si temeva, Bido non ce la fece e all’alba morì. Per Bodo il colpo fu terribile e intuì subito che non sarebbe sopravvissuto all’assenza dell’amico. Tornava nei campi più per inerzia che per una razionale attività produttiva. Anche il destino di TROSTHEVILLE era ormai segnato e si avviava a diventare una città fantasma.
    Basco andò a suonare in altri lidi, Venanzio a cercarsi una moglie intelligente per tagliarmi la faccia, e i due dottori iniziarono a fare i loro copiosi bagagli, nonostante il sindaco assicurasse l’imminente arrivo di un barcone di clandestini dall’Africa.
    Una domenica mattina, proprio nel punto in cui era solito ballare con Bido al ritmo di Basco, Bodo fu colpito da un improvviso deliquio e si accasciò al suolo.
    Riprese i sensi qualche istante più tardi, stimolato da una figura sconosciuta che gli stava davanti, in piedi. Questi, indossava un’elegante redingote nera, gessata di blu, sopra un gilet di seta araba, da cui spuntava un orologio d’oro che suonava ogni ora un breve motivetto graffiante. Aveva in mano un ombrello con una punta d’argento e portava un lungo cilindro sopra una indescrivibile faccia di merda, sulla quale è meglio non soffermarsi.
    Bodo, che forse fu ridestato dal suono dell’orologio, non distingueva bene la figura del forestiero, che gli appariva sfocata, contro sole. E dobbiamo supporre anche un abbassamento della vista, per le precarie condizioni di salute. Ma con quella cordialità che solo l’orgoglio dei più umili sa trovare nei momenti più critici domandò: «salve straniero! Cosa posso fare per voi?». «Sei forse in grado di fare qualcosa per qualcuno, decrepito villano?» rispose il tizio… questa volta – pensiamo – nel significato più moderno del termine.
    Si discusse molto sull’identità di questa misteriosa figura che forse assistette agli ultimi rantoli di vita di TROSTHEVILLE. I più mistici pensano che fosse il classico angelo mandato da Dio per aiutare i deboli, ma che si converte sempre al demonio appena mette piede sulla terra. Per altri era solo un avvocato giunto troppo tardi alla fiera della prebenda a buon mercato. I più romantici, invece, vogliono immaginare che fosse un becchino che più tardi, impietosito, tornò indietro per dare a Bodo una degna sepoltura.
    Ma che fosse un angelo deviato, un avvocato o un becchino, a questo punto della storia, è un dettaglio trascurabile.











     
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