Agonie

Agonie
Alcune volte, sbirciando tra la merce esposta da un commerciante extracomunitario, ci si può imbattere in gadget curiosi come il ciondolo che finii per acquistare a 7.000 lire quel pomeriggio, prima di rientrare a casa. La visita a Franco, dalla quale tornavo, m’aveva lasciato proprio di buon umore dopo una settimana d’intenso studio per me e di interminabile lavoro per lui.
Col sorriso ancora sulle labbra per la sua ultima barzelletta, quindi, passai innanzi alla bancarella custodita da quello straniero di probabile origine, intuii, afgana o pakistana. Tra le altre cose riprodotte in cinque o sei esemplari, vi era un ciondolo solitario nel mucchio più o meno ordinato. Appena lo sollevai un po’ con le dita, il commerciante fece sentire la sua voce: "Tredicimila, signore!", ma non gli risposi. Piuttosto avvicinai l’oggetto alla luce giallognola della lampadina che illuminava la bancarella e lo osservai nel dettaglio. Era lungo sui 6 centimetri e largo 3 o 3 e mezzo, tutto rosso trasparente e dall’ideale forma rombica. In cima c’era una coppia di spirali, simmetriche, che davano l’idea di due gusci di chiocciola… anzi, d’un fossile chiamato ammonite; sotto di esse, una piccola forma ovale con un segno verticale nero al centro, dava invece l’idea d’un occhio di rettile, e credo fosse incastonato nella pietra (chissà che materiale era). Ai lati dell’ideale occhio, un paio di ali puntate lievemente in alto e, in basso, una specie di minuscola maschera triangolare della quale non erano ben nitidi i tratti dell’espressione. Il retro del ciondolo era convesso e liscio come una saponetta.
Durante le mie analisi sull’oggetto, lo straniero credo fingesse di non guardarmi, cambiando di posto una mezza dozzina di braccialetti, borsellini ed altri ciondoli.
Io ero di buon umore, ho detto, e mi misi a contrattare il prezzo del ciondolo, visto che m’incuriosivano i suoi dettagli. "Quant’hai detto?" chiesi mostrandogli l’articolo. "Tredicimila, signore!"… Mentre prendevamo ad alternarci in un domanda - offerta convergente alle 7.000 lire, notai che iniziava ad alzarsi un non piacevole vento freddo che caricò anche il cielo di pesanti nuvoloni di pioggia. C’era da aspettarselo dopo alcuni giorni di sole ed umidità sopra le norme. Alla fine, comunque, il ciondolo fu mio, anche perché il commerciante aveva voglia di smontare la tenda temendo un acquazzone.

Raggiunsi il portone del mio palazzo che iniziava, infatti, a piovere, proprio mentre Giulia, la figlia dei condomini del quarto piano, salutava il suo scatenato boy-friend motociclista. "Ciao, Max!" mi disse, entrando tre passi dietro di me. "Salve, Giulia!" risposi voltandomi. Non che fossimo amici, ma c’era tra noi una reciproca cortesia condominiale, resami più spontanea dalla sua sbarazzina bellezza. Stavo per intavolare un banale discorso, ma arrivai a dire solo: "Beh? Che mi…" quando vedemmo innanzi alla porta dell’ascensore Eleonora De Vito, la pericolosa comare dell’edificio, convinta di vivere in una telenovela ove ogni condomino amava segretamente qualcun altro d’un altro piano o, peggio, che i coniugi Lerra del primo piano avessero una prostituta di… servizio!
Ora aveva visto me e Giulia intenti ad entrare nell’ascensore insieme; cosa normalissima per due coinquilini, ma per lei no, giacché rispose al nostro saluto con: "Buonasera, buonasera! Hai capito l’ultima?! Quasi scocciati che nell’ascensore ci sia anche io, vero?" Che femmina odiosa, tanto che non seppi se fare entrare soltanto Giulia nell’ascensore, od entrarci anch’io ed attendere entro la mattinata successiva i suoi commentini sottovoce. E non le si poteva dire nulla, altrimenti minacciava un attacco di cuore e povero suo marito, cardiopatico per davvero!
Dopo alcuni istanti d’odiosa repulsione verso Eleonora, la cabina giunse al piano e la signora De Vito fece entrare prima me e Giulia, come se volesse analizzare i nostri gesti. Quando decise d’entrare, Giulia premette il pulsante del suo piano; poi sarebbe uscita la De Vito e quindi io, al sesto piano.
L’ascensore iniziò a salire con noi tre all’interno. Giulia si dette un’occhiata allo specchio, spostandosi un po’ la frangetta dei suoi capelli neri e fischiettando un brano house; io mi misi a guardare la pulsantiera, richiamando alla mente la composita struttura del ciondolo da poco acquistato: le spirali, la maschera, le ali, e l’occhio incastonato; e la signora Eleonora, che sarebbe stata un’invidiabile quarantenne senza le sue malevoli malizie perfide, credo osservasse noialtri.