Lo spettro della quinta corsia

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  1. DOM_the_BLACK
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    Questo è il primo racconto che abbia mai scritto (anno 2002), mi valse il 4° posto al Premio Narrativa GHoST e una pubblicazione in antologia cartacea.
    Spero vi piaccia :) ...

    LO SPETTRO DELLA QUINTA CORSIA

    Ero arrivato più presto del solito, quella sera, in reparto. Avevo utilizzato i mezzi pubblici e l'ora che occorreva per arrivare in ospedale l' avevo trascorsa leggendo un testo di filosofia di un famoso scrittore napoletano. Era una bella serata di inizio estate, e una volta tanto mi ero goduto il tragitto verso il posto di lavoro, rilassandomi come non mai in queste occasioni.
    Le notti nella corsia, dove lavoravo come infermiere professionale, non erano mai tranquille. La mia collega, Francesca, era già lì, come al solito in anticipo, pronta a ricevere le consegne dai ragazzi del turno pomeridiano. Insieme a lei c'era Lory, operatrice tecnica dell'assistenza, che con noi due formava il gruppo di turno quella notte.

    "Buonasera, Tommy... Che puntualità!!!," esordì Lory, tra i risolini di Francesca e degli altri.

    "Buonasera, gente," risposi. "Beh, una volta tanto che arrivo in orario, avete anche da sghignazzare... Se volete, me ne torno a casa!"

    "Lascia perdere, non ci pensare neanche," rispose Tony, il responsabile del gruppo pomeridiano. "Il turno è stato abbastanza pesante, non vedo l'ora di andare a casa a farmi una doccia."

    Le consegne andarono avanti per circa mezz' ora, poi, dopo il caffè di rito, gli infermieri che smontavano andarono a cambiarsi, mentre noi ci buttammo subito a capofitto nel lavoro.

    Alle 22,30 circa, mentre stavo preparando la terapia per il giorno dopo, andò via la corrente elettrica. In quel momento ero da solo in infermeria, e mentre aspettavo che si attivassero i gruppi elettrogeni dell' ospedale, aprii la finestra e mi accesi una sigaretta. Mi sedetti su una poltroncina della scrivania, con lo sguardo puntato sul corridoio buio.

    La corrente tornò come un flash dopo pochi secondi, rivelandomi qualcosa che mi fece accapponare la pelle in un attimo: in fondo al corridoio c'era qualcuno che non doveva esserci. Una ragazzina, mi sembrò,con i capelli neri come la pece, magrissima, vestita solo di una misera camiciola. Mi fissava, reggendo nella mano destra sollevata in alto una bambola tenuta per i capelli. Ma la cosa più inquietante di quell'improvvisa apparizione erano gli occhi, neri, profondi, e pieni di odio... verso di me!!!

    Ma, all' improvviso, un'altra figura si interpose tra me e quella... quella orribile visione.

    "Carissimo! Era un po' che non ci si vedeva...," esclamò teatralmente il nuovo arrivato, avvolto nel suo svolazzante camice bianco.

    "Dottor Cerisi...," ebbi la forza di farfugliare "...c'è lei questa notte..."

    Il medico cambiò espressione, dopo avermi squadrato per qualche istante.

    "E' sicuro di stare bene, Tommy? Non ha un gran bell'aspetto. E butti via quella merda che ha in mano. Le sigarette la uccideranno," disse puntando l'indice accusatore con fare melodrammatico.

    "Ma no, sto bene," risposi. "E' solo che... i miei colleghi non mi avevano detto che fosse stata ricoverata quella ragazzina..."

    "Quale ragazzina?," chiese il dottor Cerisi con stupore. Stavo per indicargliela, quando mi resi conto che nel corridoio non c'era nessuno.

    "Quando è tornata la corrente... mi è sembrato di aver visto una bambina, con una bambola in mano," spiegai. Nel frattempo, dalla camera di degenza n° 3 riemersero Francesca e Lory. Avevano appena finito di preparare un paziente per la notte, e il loro ridere e chiacchierare ad alta voce mi tranquillizzò.

    "Da quanto tempo non va in ferie, Tommy? Credo che ne abbia proprio bisogno!," sentenziò il medico, con fare istrionico. Scoppiai a ridere.

    "Ha proprio ragione, dottor Cerisi. Questa è la mia ultima notte. Domani parto per le vacanze con la mia famiglia. Starò via tutto il mese..."

    "Bene," rispose il medico avvicinandosi al carrello in cui erano disposte le cartelle cliniche. Ne prese una in mano, aprendola senza molto interesse. "Qualcosa di particolare da riferirmi?"

    "No," risposi "niente che non le abbia già riferito il suo collega del turno pomeridiano."

    "Molto bene," sussurrò sottovoce il dottor Cerisi, richiudendo la cartella che aveva fra le mani. "Vorrà dire che andrò a prepararmi il mio giaciglio per la notte in anticipo, stasera. A proposito, avete una coperta da prestarmi? La notte si preannuncia freschina, ed io non sono più un giovanotto..."

    "Ma certo, dottore," gli risposi sorridendo "se la faccia dare dalla Lory, e buonanotte."

    "Buonanotte anche a lei, Tommy. Se avete bisogno, chiamatemi."

    "Speriamo di no!," dissi, ritornando al mio lavoro.

    Alle ore 23.00 terminai la preparazione della terapia e andai in cucina per preparare il caffè. A loro volta, Francesca e Lory conclusero il primo giro di controllo dei pazienti e mi raggiunsero. Mentre bevevamo il caffè, raccontai loro la strana cosa che mi era capitata mezz'ora prima. Ovviamente, mi presero in giro.

    "Le ferie sono arrivate al momento giusto! Si vede che sei scoppiato...," commentò Francesca.

    "Ancora qualche settimana e tu sarai più scoppiata di me," le risposi.

    "E io, allora?," intervenne Lory. "Io sono scoppiata già da un pezzo, solo che le ferie me le sono già sputtanate..."

    "Colpa tua," disse Francesca "neanche le ferie ti sai gestire bene..."

    All'improvviso, un lungo gemito risuonò per la corsia, seguito, qualche istante dopo, dallo squillo di un campanello.

    "Cosa cazzo è stato?," si domandò Lory.

    "Qualcuno che si sente male," rispose Francesca.

    Controllai il quadro centralizzato dei campanelli delle camere di degenza. "Hanno suonato dalla sesta," annunciai.

    Ci precipitammo a controllare. La luce della testata di uno dei letti era stata accesa. Era il signor Mariani, un paziente che era stato amputato alla gamba sinistra circa un mese prima.

    "E' stato lei, Mariani?," chiesi.

    "A fare cosa?," domandò a sua volta il paziente.

    "A urlare e suonare il campanello... Si sente male?," chiese Francesca, perplessa.

    "Ho suonato io... proprio perché c'è qualcuno in camera che si lamenta!," affermò l'anziano ometto.

    Lory sogghignò. "Mariani," disse "in questa camera non c'è nessun altro all'infuori di lei... e di noi tre, ora!"

    "Non è vero!," ribatté Mariani. "Mi crede rincoglionito? Io la notte non dormo, vedo tutto... C'è qualcuno sul letto di fronte!!!"

    Tutti e tre ci girammo di scatto verso il punto indicato dal paziente. Automaticamente mi ritornò l' immagine della ragazzina della mia allucinazione. Francesca accese la luce principale. Non c'era nessuno.

    "Visto?," chiese Lory. "Non c'è niente lì. Magari ha sentito qualcuno lamentarsi in qualche altra camera e si è autosuggestionato."

    "No!," affermo il signor Mariani. "Lì c'era qualcuno!!!"

    Mentre Lory cercava di tranquillizzarlo, io e Francesca uscimmo a fare un giro delle camere, alla ricerca dell'origine di quel gemito, ma non trovammo niente di strano. I pazienti dormivano o erano comunque tranquilli. Tornammo in infermeria.

    "Sai una cosa?," mi disse Francesca. "Sarà che mi sono fatta suggestionare dal tuo racconto di prima, ma anch'io ho avuto la sensazione che ci fosse qualcun altro in quella camera... solo per un istante, ma l'ho avuta! E forte, pure..."

    "Magari c'era davvero!," dissi sorridendole.

    "Che fai, prendi per il culo?," mi rispose, stizzita.

    In quel momento arrivò anche Lory. "Mariani si è addormentato. Gli ho promesso che sarei passata più volte a controllare la stanza, stanotte..."

    "Va bene," dissi "beviamoci questo caffè e poi mettiamoci all' opera. C'è ancora un bel po' di cose da fare."

    Alle h.2.00 avevamo finito tutto il lavoro di routine, e dopo l'ennesimo caffè, Lory e Francesca si appoggiarono sui letti di una delle due stanze libere, la n° 8, a guardare la tv, mentre io mi sistemai in infermeria a leggere il mio libro. Fino alle h. 3.00 non accadde assolutamente nulla.

    Ero rannicchiato tra due poltroncine da scrivania, in uno stato di dormiveglia, quando un urlo straziante lacerò il silenzio della corsia. Balzai in piedi, il cuore in gola, precipitandomi nel corridoio. Intravidi Lory che correva verso il fondo, mentre Francesca era immobile al centro del reparto.

    "Chi è stato?," balbettai, avvicinandomi in fretta alla mia collega.

    "Non lo so. Veniva dai bagni. Lory è andata a vedere..."

    "Andiamo anche noi," le suggerii, ma la ragazza era già uscita dalle toilettes dei pazienti.

    "Qui non c'è nessuno! Controllate le camere, io guardo nel corridoio della palestra riabilitativa...," urlò Lory mentre spariva dietro l'angolo del corridoio.

    Controllai tutte le camere del lato destro, mentre Francesca si occupava di quelle sul lato sinistro, ma stranamente i pazienti dormivano tutti. Stabilimmo quindi che io avrei raggiunto Lory nel corridoio della palestra, mentre lei sarebbe rimasta di guardia in infermeria.

    Raggiunsi la palestra in pochi istanti, ma Lory non c'era. Il corridoio era buio e immerso nel silenzio. Da sotto la porta della toilette del personale filtrava un raggio di luce, per cui pensai che Lory, non avendo trovato nessuno, aveva fatto una puntatina in bagno prima di tornare da noi.

    Mi incamminai lentamente verso l'infermeria. Qui trovai Francesca e il dottor Cerisi.

    "Ha sentito anche lei?," chiesi al medico.

    "No, mi ha chiamato la sua collega. C'è qualcuno, di là?"

    "Nessuno," risposi.

    "Dov'è Lory?," chiese Francesca.

    "In bagno, credo. Ho visto la luce accesa," dissi, con un vago senso di colpa per non essermi accertato della cosa.

    "Proviamo a chiamare il reparto solventi, al piano di sopra. Non vorrei che qualcuno dei loro pazienti affetti dal Parkinson sia andato in confusione e sia arrivato fin quaggiù," disse il dottor Cerisi.

    Francesca afferrò il ricevitore del telefono e provò a digitare il numero del reparto solventi. "Non c'è linea!," affermò, stupita, la mia collega.

    "Come è possibile?," domandò il medico "Provate con il cordless..."

    Niente da fare, né con il cordless, né col telefono dello studio medico, né coi nostri cellulari. Per qualche misteriosa ragione, erano tutti fuori uso.

    "Ok, manteniamo la calma. Vado su di persona!," disse il dottor Cerisi, cercando di mascherare il suo stupore e avviandosi verso la porta d'ingresso del reparto.

    "Se questo è uno scherzo della Lori, giuro che stavolta gliela faccio pagare," dissi rivolto a Francesca, che appariva molto tesa.

    Dopo pochi istanti, Cerisi riapparve sulla soglia dell'infermeria, i muscoli del viso contratti. "La porta... è bloccata! La cellula fotoelettrica non funziona!"

    "Allora faccia il giro dall' altro lato ed esca dal corridoio della palestra," gli risposi. Il medico, senza dir nulla, si avviò verso il fondo del reparto.


    ***



    "Cosa facciamo?," mi chiese Francesca. La paura cominciava a delinearsi sul viso della ragazza.

    "Direi che io mi faccio un altro giro della corsia, mentre tu resti di guardia qui in infermeria".

    "No. Io qui da sola non resto. Vengo con te..."

    "Non dire cazzate. Non possiamo lasciare il reparto incustodito. Ti prometto che entro cinque minuti sarò di ritorno."

    "D'accordo...," rispose Francesca, affatto convinta.

    Mi avviai verso il fondo. Ricontrollai tutte le camere di degenza, una ad una. Guardai anche nello studio dei medici, nella toilette dei pazienti, nei vari ambulatori e nello studio del primario, ma non trovai nulla di strano.

    Arrivato alla toilette del personale, mi accorsi che la luce filtrava ancora dalla porta dell'antibagno. Provai a chiamare Lory, ma non mi rispose. Fu in quel momento che, quasi involontariamente, guardai il pavimento. Una larga striscia di sangue raggrumato partiva da sotto il lavandino e proseguiva fuori, in direzione del corridoio della palestra. Sembrava che un corpo sanguinante fosse stato trascinato fuori dal bagno, ma c'era un particolare ancora più strano: la traccia non era omogenea, in alcuni punti era più larga e meno marcata, c'erano delle enormi sbavature e la direzione non era sempre la stessa. Era come se un enorme straccio sporco di sangue fosse stato passato e ripassato sul pavimento del corridoio. Cominciai ad aver paura, ma ciò non mi impedì di continuare a seguire la traccia fino in fondo. A circa un metro dalla porta di ingresso della palestra, mi accorsi che la striscia di sangue proseguiva sulla parete, su fino al soffitto. In quel momento sentii i peli che si rizzavano sulla nuca e sulle braccia, e cominciai a sudare freddo. Accesi la torcia elettrica che avevo nella tasca della casacca e la puntai in alto.

    Il cuore mi saltò istantaneamente nella gola, le pulsazioni accelerarono repentinamente e un denso velo di sudore gelato mi ricoprì tutto il corpo: letteralmente fuso col soffitto, tranne le mani, i piedi e la testa, che penzolavano come se si trattasse delle estremità di un fantoccio di pezza, vidi una massa sanguinolenta atrocemente sezionata. Il ventre era squarciato, dalla punta dello sterno al pube, e l' intestino penzolava come fosse salsiccia appesa ad essiccare. Il torace era letteralmente esploso, con la gabbia toracica completamente aperta, il cuore penzoloni come un macabro pendolo e i polmoni ridotti a due misere sacche flaccide e sanguinanti. Puntai la torcia sul volto tumefatto e distorto in una maschera di angoscia e disperazione, la bocca spalancata in un modo inverosimilmente spropositato. Era Lory.

    Corsi via da quello spettacolo di morte, urlando come un ossesso. Giunto a metà corsia, incrociai Francesca che, spaventata dalle mie grida, mi stava venendo incontro.

    "Cos'è successo?," chiese. Era isterica e bianca in viso come un fantasma.

    "Lori... è... è...," per quanto mi sforzassi, le parole non mi uscivano dalla bocca.

    "Lori è COSA?," incalzò Francesca, il viso paurosamente alterato dalla tensione.

    "E' morta...," dissi, infine, accasciandomi su una poltroncina dell'infermeria.

    "Morta...," ripeté Francesca con un filo di voce. Era bianca come un lenzuolo.

    In quel momento sopraggiunse il dr. Cerisi. Era in evidente stato di shock emozionale.

    "L'ho vista anch'io. Mi sono precipitato a chiamare qualcuno del reparto di medicina generale, ma la porta di accesso dal nostro reparto è bloccata dall'esterno... Siamo bloccati qui dentro... topi in trappola... mi chiedo che razza di mostro può aver fatto un simile macello..."

    All' improvviso venne a mancare di nuovo l'energia elettrica. Francesca emise un suono rauco e strozzato per lo spavento. Cerisi cercò di tranquillizzarla.

    "Non si preoccupi, Francesca. Ho qui la mia torcia elettrica, e tra qualche istante si attiveranno i gruppi elettrogeni."

    Il medico accese la torcia. Eravamo tesi come corde di violino. Intanto i minuti passavano, ma la corrente non tornava. E i gruppi elettrogeni non si attivavano.

    "Cosa facciamo?," chiesi con un filo di voce, a nessuno in particolare.

    "Ha le chiavi del magazzino del reparto?," mi domandò il medico.

    "Cazzo, come ho fatto a non pensarci prima? Certo che ce le ho... Da lì potremo accedere ai sotterranei dell'ospedale e risalire dall'altra ala!!!"

    "Me le dia..."

    "Vengo con lei, dottor Cerisi...," disse Francesca, quasi implorando.

    "Ce l'ha una torcia, Tommy?," domandò il medico.

    "Si, doc. Non potente come la sua, ma sufficiente a farmi coraggio...," gli risposi mentre gli passavo le chiavi del magazzino. "Buona fortuna...," gli augurai, senza traccia di entusiasmo.

    "Anche a lei, Tommy," rispose il medico. "Ci vediamo tra un po'," disse mentre si allontanavano.

    Fu l'ultima volta che li vidi.



    ***



    Mentre aspettavo, con la luce della mia torcia puntata sul corridoio della corsia, mi resi conto di quanto avessi paura. Il cuore batteva così forte che sembrava volesse saltarmi fuori dalla gola. Una pellicola di sudore freddo ricopriva interamente il mio corpo, e c'erano così tanti pensieri orribili nella mia testa che dovetti inventarmi qualcosa da fare per non impazzire. Mi accesi una sigaretta e mi bruciai letteralmente la mano, stringendola mentre un'ombra che si era mossa nel corridoio mi aveva provocato un gesto inconsulto. Ma mi accertai che non c'era niente. Imprecai per i gruppi elettrogeni che non si inserivano, per la corrente che non tornava e intanto un sanguinario assassino era nascosto da qualche parte nel reparto. Questo pensiero mi fece gelare il sangue nelle vene. Realizzai che, molto probabilmente, non avrei visto il sorgere del sole.

    In quel momento accadde una cosa che mi fece capire che probabilmente avevamo a che fare con una forza che non faceva parte della nostra realtà.

    Squillò un campanello in una camera di degenza. I capelli mi si rizzarono in testa come se avessi ricevuto una scarica elettrica. Non era possibile che squillasse un campanello. Non senza corrente. Eppure era successo.

    C'era la lucina rossa accesa sulla porta della camera 1. Mentre cercavo di darmi una spiegazione razionale di questo fenomeno, un pensiero, rapido e affilato come un bisturi, mi attraversò il cervello da parte a parte: IN CAMERA 1 NON C'E' NESSUN PAZIENTE... NON ABBIAMO ALCUN RICOVERATO IN CAMERA 1 !!!

    Andai a controllare, nonostante il tremore nelle braccia e nelle gambe e la paura che mi trafiggeva la pelle come sottilissimi aghi di ghiaccio. Entrai nella camera puntando il fascio di luce della torcia sui quattro letti vuoti.

    Non c'era nessuno, naturalmente.

    Eppure il campanello aveva suonato. Chi...

    All' improvviso, avvertii uno spostamento di aria gelida al mio fianco sinistro. Mi girai, il cuore che toccava i trecento battiti al minuto e sudore freddo che mi colava dalla fronte. Era lì. La bambina, con la sua bambola tenuta per i capelli puntata dritta davanti al mio viso. I suoi occhi malevoli dritti nei miei. Il terrore mi impedì persino di urlare. Scappai via da quella stanza e mi diressi nella camera 2, dove c'era l'unico paziente che poteva camminare sulle proprie gambe, Claudio Zanetti. Lo avrei svegliato, gli avrei raccontato tutto. Per lo meno non sarei rimasto da solo.

    Quello che trovai nella camera 2 fu ancora più agghiacciante. I tre pazienti che vi erano ricoverati giacevano nei loro letti in un lago di sangue, le teste ridotte a brandelli come fossero esplose, i muri della stanza imbrattati da materia cerebrale e sangue.

    Rimasi paralizzato dal terrore, gambe e braccia che tremavano in ritmo con i denti, gli occhi che correvano dai letti alla porta della stanza, dalla porta ai letti coi tre cadaveri sanguinolenti. Tirai fuori dalla tasca il cellulare. Volevo chiamare Francesca, ma la mano mi tremava così forte che il telefonino mi scivolò via, cadendo sul pavimento. Neanche lo cercai. In preda alla disperazione, schizzai fuori nel corridoio. Scivolai a terra, mi rialzai e corsi via verso il fondo del reparto. Arrivato all'altezza della palestra, tornò la corrente illuminando la scena atroce del cadavere sanguinolento di Lory schiacciato contro il soffitto come una gigantesca mosca dalle sembianze umane. Ripresi a correre, diretto all'ingresso della scala che dava sui sotterranei, senza mai girarmi indietro, il cuore che batteva all'impazzata. Trovai la porta di accesso aperta e la lampadina accesa, quindi mi lanciai per le scale, ma sul pianerottolo tra la prima e la seconda rampa mi bloccai.

    Lei era lì ad aspettarmi. La guardai bene. Ormai mi trovavo in uno stato di coscienza alterato, al di là dell'angoscia e del terrore. Indossava una camiciola lunga nera, era scalza ma i suoi piedi non toccavano il pavimento. Aveva capelli neri come la notte, lunghi e lisci, e la pelle era bianca, un biancore cadaverico e spettrale. Era magrissima, le labbra erano ridotte a una sottilissima fessura bluastra, tirata in un ghigno ebete e cattivo. Gli occhi, se di occhi si poteva parlare, erano due fori neri e profondi come il nulla di cui sembrava fatta. Era un'incarnazione di malvagità. Reggeva la sua bambola per i capelli, dritta davanti a sé.

    "CHE COSA VUOI?," le chiesi mentalmente. Come in risposta alla mia domanda, fui investito da qualcosa come una folata di vento torrido e gelido contemporaneamente.

    "VENDETTA!," fu la parola, estranea a me, che mi si formò nella mente, con tanta forza da farmi crollare a terra esanime. Strisciai fino alla parete e mi ci schiacciai contro, tornando a fissarla. Lei era sempre lì, immobile.

    "RICORDA!!!," fu la parola successiva che avvertii nella mia testa. E a me parve davvero di ricordare. Quel... quel fantasma aveva avuto qualcosa di familiare sin dal primo momento che l' avevo visto. E ora, in quello stato di esaltazione mentale, mentre l'adrenalina e le endorfine venivano prodotte smisuratamente nel mio organismo, la porta dietro cui il mio inconscio aveva segregato quella terribile storia veniva sfondata.

    E i ricordi affluivano impetuosi...



    ***



    La bambina era gravemente ammalata, una cardiopatia ischemica congenita. Aveva già subito tre interventi a cuore aperto, e quell'ultimo sembrava fosse andato bene. Era stata ricoverata nel nostro reparto per un periodo di riabilitazione cardiologica.

    Ma quella mattina di tre anni fa, all'improvviso, le cose erano precipitate. Mentre era sulla cyclette aveva avuto un arresto cardio-circolatorio. In turno c'eravamo io, Francesca, Tony, Lory e il dottor Cerisi (gli stessi di quella notte, tranne Tony... e i conti cominciavano a tornare!). Tony e Lory avevano sdraiato la piccola sul pavimento rigido, mentre io preparavo il defibrillatore e Francesca iniziava a praticarle la respirazione con pallone Ambu e il massaggio cardiaco esterno. Sopraggiunsero Cerisi e un anestesista, che ci chiesero di lasciar perdere e di trasportare immediatamente la bambina in ambulatorio chirurgico. Noi quattro ci eravamo guardati a bocca aperta. Che intenzioni avevano?

    Una volta giunti in ambulatorio, l'anestesista aveva praticato una flebo alla bambina, dopodiché Cerisi, in tenuta operatoria, chiese a me e Tony di fargli da strumentisti per un intervento di dissezione.

    "Lei è pazzo!!!," urlò Tony. "Che cosa volete fare?!?"

    "I genitori hanno firmato per la donazione degli organi in caso di morte. I suoi organi serviranno a far vivere altri bambini con maggiori possibilità di lei!!!," rispose il medico con calma e fermezza.

    "E' ancora viva... questo è un omicidio!!!," protestai io. Le due donne erano così allibite che non ebbero la forza di dire nulla.

    "E' clinicamente morta!," ribatté seccato Cerisi.

    "Non è vero!!!," rispose Francesca. "Stava ricominciando a respirare, forse si sarebbe ripresa se lei ci avesse permesso di continuare a rianimarla..."

    "Cazzate!!!," ribatté Cerisi. "Sono io il medico, qui!!! E voi mi aiuterete e non farete parola con nessuno di tutto questo, o quant'è vero il Diavolo non troverete più uno straccio di posto di lavoro neanche nel più scalcinato ospedale di questa Italia di merda!!!".

    Lo aiutammo. Eravamo nel 1993 ed erano tempi duri per gli infermieri. Non si trovava lavoro e per chi aveva un posto di ruolo in clinica o in ospedale, mantenerlo era questione di vita o di morte.

    La bambina era in coma vigile. Come era stupita nel vedersi asportare reni, fegato e milza. E come era terrorizzata mentre realizzava cosa le stava accadendo, poco prima di morire per davvero...



    Quel giorno abbiamo dannato le nostre anime, e forse morire quella notte, in quel modo atroce, ci avrebbe fatto saldare il conto. Questo pensai mentre tornavo alla realtà.

    Ma il mio istinto di sopravvivenza non lo accettava, e quando vidi la sagoma spettrale in piedi di fianco a me, i piedi a venti centimetri dal pavimento, schizzai in piedi e risalii di corsa la rampa di scale, tornando in reparto e infilandomi nell' infermeria. Lì mi fermai, i polmoni che mi scoppiavano dalla fatica (all' epoca pesavo oltre novanta chili).

    Mi girai verso la porta, ed era lì a fissarmi. Non so come, mi ritrovai col mio portafogli tra le mani, ma ricominciai a tremare e mi scivolò a terra, sparpagliando sul pavimento soldi, carte di credito, documenti e la foto di mia moglie e delle mie figlie.

    Fu allora che quella terribile apparizione cambiò espressione. Stava fissando la foto, che all' improvviso si liberò nell'aria e ricadde dolcemente tra le sue mani. La vidi osservare la foto con attenzione, con una espressione ora quasi umana. Per un attimo tornò ad avere il volto della piccola paziente che avevo conosciuto, e una piccola lacrima scese a rigarle la guancia. Fu solo un attimo, poi la foto ricadde a terra e lei tornò a guardarmi con un ghigno più demente e feroce di prima.

    "HAI DUE FIGLIE... DUE BAMBINE...," fu il pensiero alieno che mi perforò la mente.

    Era arrivato il mio momento, pensai. Il mio reparto era al terzo piano dell'ospedale. Mi lanciai dalla finestra, senza la minima esitazione...



    ***



    Mi svegliai. Guardai fuori della finestra. Doveva essere ancora presto, ma faceva già molto caldo. Era una splendida giornata d'estate. Una mosca si posò sulla mia mano. Il mio cervello impartì l'ordine di scacciarla ma la mano non si mosse. Piansi.

    Non riuscivo ad accettarlo, anche se già da circa una settimana mi trovavo nella condizione di essere tetraplegico.

    Ero caduto male quando quella notte mi ero lanciato dalla finestra. Lesione completa della quarta vertebra cervicale. L'unica cosa che potevo muovere era la testa. Fino alla fine della mia vita, l'unica cosa che avrei potuto muovere sarebbe stata la testa.

    La polizia era venuta più volte ad interrogarmi sul macello che era stato trovato l'indomani di quella folle notte. Avevo sempre dichiarato di non ricordare nulla. Non potevo fare altrimenti. Mi avrebbero preso per pazzo, o avrebbero sospettato di me.

    Il dottor Cerisi era stato trovato abbracciato a Francesca (sarebbe meglio dire fuso in un pasticcio di carne umana) in un punto del sotterraneo. Tutti i pazienti del mio reparto erano stati orribilmente massacrati. Negli altri reparti nessuno si era accorto di niente. Era stata la donna della squadra di pulizie, che era arrivata alle sei e trenta del mattino, a dare l'allarme. Le indagini erano tuttora in corso, ma non avrebbero portato mai a niente. Un' infermiera del reparto di neurochirurgia in cui ero ricoverato mi aveva detto che il mio collega Tony era morto d'infarto nel letto di casa sua. Aveva ventisei anni, non fumava e non beveva. Lo avevano trovato con tutti i capelli bianchi, come se fosse morto a causa di un grande spavento. Mentre pensavo a queste cose, mi girai verso la parete alla mia destra. C'era una grande scritta rossa (sangue?):



    ORA SONO NELLA PACE



    Sotto, appoggiata al muro, la bambola dello spettro della quinta corsia.

     
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    Cacchio! Non mi bastano i cinque minuti di pausa pranzo per leggerlo! Tornerò sta sera! Tu aspettami, eh? Non scappare! ;) :D
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  3. CarDestroyer
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    Anch'io me lo leggerò con calma, ma non dubitare che commenterò! ;)
     
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    Ci ho messo un po' di tempo, ma sono stato ritardato da varie cose non ultimo il fatto che sono già ritardato di mio! :P
    Bella, davvero molto bella, anche se due cose non mi sono piaciute:
    1°)
    CITAZIONE
    Fu l'ultima volta che li vidi.

    Questa frase rivela molte cose e toglie parte dell'aspettativa per il finale. Per prima cosa rivela che Cerisi e Francesca faranno anche loro una brutta fine, cosa che sarebbe stato più bello scoprire solo nel finale! Poi rivela che il protagonista si salverà, infatti rimane tetraplegico ma vivo, ed anche questo sarebbe stato meglio rivelarlo solo alla fine così il lettore non può sapere in anticipo se il racconto finirà con la morte del protagonista/narratore o no! ;)
    2°)
    CITAZIONE
    Tutti i pazienti del mio reparto erano stati orribilmente massacrati.

    Questo secondo me stona con la spiegazione finale. Il fantasma della bambina uccideva per vendetta verso i suoi "carnefici" e chi uccide per vendetta non si mette ad ammazzare tutti quelli che gli capitano a tiro. L'omicidio per vendetta è estremamente selettivo ed una morte "stonata" (cioè che non centra niente con la vendetta in se) capita solo accidentalmente o per errore. Sarebbe stato più logico che i pazienti di quel piano sprofondassero in un sonno profondo per risvegliarsi il giorno dopo! ;)

    Per il resto il racconto mi è piaciuto moltissimo in certi punti, immaginando la scena, mi è venuta la pelle d'oca. La prima apparizione della bambina è rappresentata a regola d'arte! ;) :bravo: :bravo:
    Naturalmente i due "errori" che ti ho segnalato sono solo sottigliezze e comunque è solo la mia opinione che è tanto giusta quanto sbagliata! ;) :D
    Ancora complimenti! Posta qualcos'altro se vuoi/puoi! :D :D
    :bravo: :bravo: :bravo: :bravo: :bravo: :bravo:
    :bye:
     
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  5. CarDestroyer
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    La figura della bambina è molto simile a quella di The Ring, però rende bene, soprattutto quando i nodi si sciolgono e si scopre cosa le è stato fatto ;) .
    Non sono d'accordo sui punti contestati da Eindh, perché trattandosi di un racconto horror, è logico aspettarsi che muoiano tutti tranne il narratore :P , e anche le morti accidentali sono funzionali alla storia. Ci leggo molto "Silent Hill", sbaglio :nonno: ?
    Mi è piaciuto ^_^ , non ho particolari appunti da muovere. Magari evita le precisazioni come
    CITAZIONE
    i polmoni che mi scoppiavano dalla fatica (all' epoca pesavo oltre novanta chili)

    che infastidiscono se buttate lì per giustificare le scelte narrative.
     
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    CITAZIONE (CarDestroyer @ 2/6/2007, 18:32)
    è logico aspettarsi che muoiano tutti tranne il narratore :P

    Veramente ci sono racconti dell'orrore in cui muore anche il narratore, alla fine! :P
    :bye:
     
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  7. DOM_the_BLACK
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    Intanto grazie a tutti e due per aver avuto la pazienza di leggere e commentare :D
    Per quanto riguarda la frase rivelatrice, so che è incongrua, ma mi piaceva come suonava e quindi la lasciai. All'epoca ero molto immaturo come writer, e a certe piccolezze non badavo, scrivevo soprattutto per soddisfare me stesso.
    Su fatto che tutti i pazienti fossero stati massacrati, hai perfettamente ragione, quella è un'incongruenza bella grossa e illogica che all'epoca mi fu rimproverata da molti :(
    Quando scrissi questo racconto non esisteva nè The Ring nè Silent Hill, in realtà l'unica fonte di ispirazione fu questa famosissima foto:image
    Anche la frase dei polmoni che scoppiavano dalla fatica, altro obbrobrio da inesperienza.
    Sono felice che vi sia piaciuta, se volete vi posto un racconto di cui, anche se scritto nel 2003, vado orgoglioso e lo ritengo uno dei miei meglio riusciti (vinse la XVIIa Edizione del NeroPremio :) )
     
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  8. CarDestroyer
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    Fai pure ^_^ , ma se è parecchio lungo potresti provare la formula "a puntate", così ci invogli a leggerlo senza porre attese in mezzo ;) .
     
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    Posta, posta! Se poi ha vinto un premio, non vedo l'ora di leggerlo! La curiosità mi sta disfacendo!
    Per me pu oi post are com e vu oi sia a pu nt ate ch e tu tto in te ro ... ahh hh hhh !!!!
    M i s o n o d i s f a t t o d e l t u t t o o o o o o!!!!!! :o: :rolleyes: :blink:
    :bye:
     
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8 replies since 31/5/2007, 02:04   186 views
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