Storie dal ####storie

apprezzati consigli, critiche, minacce

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  1. ####storie
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    Allora, per cominciare, vista "l'oscurità" del sito vi propongo per prima la mia storia gotica. Se piacerà, continuerò ad ammorbarvi. Altrimenti, la pianto là.


    Apro gli occhi.
    Per prima cosa vedo un’ombra doppia, riflessa, come di due ragni gemelli ed enormi che mi penzolano davanti alla faccia.
    Trattengo il fiato. Poi la vista si snebbia: sono solo le mie mani. Tutto il resto è indistinto, ma ci sono le mie mani che si spostano nell’indistinto.
    Chiudo gli occhi.

    Apro gli occhi. Quanto tempo è trascorso? Dove sono?
    Socchiudo le palpebre: vedo una stanza. Grande, dalle finestre sottili. Arazzi sui muri. Arazzi scuri.
    Guardo le mie mani. Di chi sono le mie mani? Le scruto, in cerca di indizi.
    Sono dure, callose. Sono forse un contadino? Il legno di una zappa ha indurito le mie dita, i miei palmi?
    Rumore, improvviso, rumore di vetri infranti, un gemito di una vita che si spezza contro il vetro. Porto automaticamente una mano sull’elsa della spada. Ma non c’è nessuna spada sul mio letto di malattia. Un uccello, che volava libero, nel cielo, è sceso in picchiata e con precisione ha centrato la finestra sottile ha rotto i suoi vetri rossi e blu scuri. Mi era sembrata di vedere una figura, istoriata sul vetro. Non la vedrò più.
    La mia mano, d’istinto, è corsa sul mio fianco, ha cercato un’elsa. Sono un uomo di spada? Non ricordo. Non ricordo e sono stanco.
    Chiudo gli occhi.

    “Sì è ripreso?”
    “Dorme ancora profondamente.”
    “Ancora?”
    “Bisogna avere pazienza. Era quasi completamente ricoperto di ferite, più o meno gravi, di sangue suo e non suo, la spada scheggiata, l’elmo abbozzato, lo scudo spezzato a metà. Era terribile a vedersi. Sembrava quasi… morto, portato qui dal suo cavallo. Ma quando ci siamo avvicinati…che sguardo che ha lanciato! Le sentinelle non si sono avvicinate fino a quando non è crollato a terra svenuto.”
    “Non capisci che è per questo che sono impaziente? Perché è venuto qui? Che cosa è successo? Gli abbiamo trovato addosso una pergamena, forse un messaggio per me, ma era illeggibile, strappata, coperta di sangue. Non sono riuscito neanche a riconoscere il sigillo…”
    “…”
    “sento una minaccia… un pericolo che non riesco a vedere… ma so che c’è! È reale! E non riesco a scoprire quale sia!”

    Apro gli occhi. La stanza è al buio. Mi irrigidisco.
    Non sono tranquillo. Perché? Ho paura del buio?
    No. È successo qualcosa, in una notte come questa, non ricordo cosa ma so che è successo.
    Come il ricordo di un sogno… un incubo, che ti svegli con la bocca impastata e non sai più cosa ti ha spaventato, ma hai ancora paura addosso e fuori e dentro…
    Cerco di ricordare.
    Ah! Ombre! Ricordo… mi sembra… sagome… credo… intorno… addosso… dentro…
    Ah! No.
    Chiudo gli occhi. Chiudo gli occhi. Chiudo gli occhi…

    “Sono tornate le pattuglie?”
    “Sì, mio signore. Non hanno trovato niente di strano.”
    “Bene. Manda fuori altre pattuglie.”
    “Signore, non ce ne sono altre. Le ha già mandate tutte fuori.”
    “Allora rimanda fuori quelle che sono rientrate.”
    “Signore, ma sono appena tornate. Saranno sfinite, devono…”
    “Hai sentito quello che ho detto?”
    “Sì signore.”
    “Manda fuori le pattuglie.”
    “Si signore.”

    Ci sono ombre. Nella stanza. Si muovono veloci, controluce, sono due, tre quattro, non so. Hanno un foro, un buco di forma irregolare, sulla faccia, che si apre e si chiude.
    Si avvicinano, si allontanano. Si piegano sul mio capezzale. Non so cosa sono, ma anche se fossero qui per me, non gli darò la soddisfazione di aver paura. Anche senza una spada. Io… almeno mi sembra… un tempo non avevo paura… mai… devo cercare… devo ricordare…

    “Allora?”
    “Niente. Siamo stati ore ad interrogarlo, adesso che si è svegliato. Sembra che non ci senta, che non capisca cosa diciamo. È rimasto lì, immobile, a guardarci, con uno sguardo che ho visto raramente.”
    “Quale sguardo, mio signore?”
    “… lo sguardo di chi appena dopo la battaglia è pronto a combattere di nuovo. Era lì, immobile, nel suo letto, eppure ci guardava come se ci stesse minacciando, come se ci tenesse in pugno.”
    “Non ha con se niente che possa fornire un indizio di chi sia? Uno stemma, una stoffa…”
    “No, maledizione no! Lo scudo è spezzato è metà, crivellato da colpi, e lo stemma inciso sopra potrebbe essere un drago, come un cane o un maiale! Niente di niente gli è stato trovato addosso! Cosa posso fare?”
    “Signore, non credete che state esagerando con questa storia? L’uomo in questione potrebbe anche essere stato semplicemente assalito dai briganti…”
    “No, imbecille. Ma l’hai visto tu? Hai visto i suoi occhi? Non ci sono nella regione abbastanza briganti per ridurre un uomo del genere in quelle condizioni. No.”
    “…”
    “C’è qualcosa, là fuori. Lo sento! E non sono né briganti né semplici nemici. No. C’è qualcosa, da qualche parte, che aspetta. Ci scruta, invisibile, come un gufo che guarda un piccolo topo, e aspetta solo il momento adatto per piombarci addosso.”
    “Signore… mi state mettendo paura”
    “E fai bene ad averne.”

    I miei occhi sono aperti. Da molto. Mi sono proibito il sonno fino a quando non mi ricorderò chi sono, perché sono qui, e perché sento nemica la notte.
    Devo ricordare qualcosa, e poi ripercorrere il filo delle mie memorie al contrario.
    La mia mano. Guardo la mia mano. Stringe una spada. Una spada ammaccata, dal filo incrinato. Come l’ho incrinato?
    L’ho incrinato cozzando contro qualcosa che… contro…

    “Signore!”
    “Cosa c’è.”
    “Il guerriero ferito. Ha lanciato un grido fortissimo. I cani hanno cominciato ad abbaiare, i bambini piangono. Comunque, adesso sembra più cosciente. E sembra anche che stia per morire. È strano, stava migliorando ed ora…”
    “Andiamo! Immediatamente!”

    “Spostatevi, padre.”
    “Ma cosa dite, mio, signore? Volete privare la sua anima del conforto dell’estrema unzione?”
    “Se quest’uomo non mi dice immediatamente quello che sa, ci saranno molte anime da confortare, tra breve. Toglietevi. E tu, parla? Chi sei? Perché sei qui? Cosa ti ha ridotto in questo stato?”
    “…terzo…”
    “come dici? Parla più forte!”
    “…terzo giorno dopo la luna…”
    “Che luna? Che vuol dire?”
    “ritorno de… sciami disperati… affogheranno nel Solco… piegati… Ah!"
    “Che vuol dire? cosa vuol dire? ”
    “È morto, mio signore.”
    “Che vuol dire, rispondi!”
    “Lasciatelo, mio signore, basta.”
    “COSA VUOL DIRE!”

    Passi. Vengono da lontano, dal cancello. Percorrono corridoi, scavalcano scale. Si avvicinano. Rimbombano per le stanze deserte del castello. Passi veloci, ravvicinati, di furia. Il signore guarda la porta mentre i passi diventano sempre più vicini. La porta si spalanca. Compare il volto bianco della sentinella, terrorizzata.
    “Arrivano.”





    ringrazio preventivamente per l'attenzione.
     
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  2. Tsam
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    NOOOOOOOOOOOO..mi devi dire che cosa arriva!!!!..il raccont mi è piaciuto molto..con i suoi numerosi cambi di vista..anche se non ho capito perchè è morto l'uomo..per la paura?comunque aspetto un tuo nuovo racconto....ciao
    tsam
     
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  3. Nergal
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    NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!

    CI DEVI dire cosa arriva!!!!

    Bella prova ####. Mi piace molto il metodo usato (cioè periodi brevi e la punteggiatura).

    Spero continui a postare e che si capisca perchè muore l'uomo che stava migliorando...così Tsam è contento.

    Ciao
     
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  4. ####storie
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    Spiacente, ragazzi! no si può sapere cosa arriva!
    Lovecraft insegna la forza dell'ignoto in questo genere di roba (anche se ho letto più teoria che pratica del tipo, solo un volume che si chiamava "I miei orrori preferiti" di racconti neanche scritti da lui che non ho neanche troppo finito perché il ####storie si #### sotto facilmente).
    Grazie per i complimenti. Sì, sono un amante del periodo breve, e per quanto riguarda il punto di vista multiplo, dr Jekyl e mr Hyde e Dracula docent!
    Grazie di tutto. allora posto qualcos'altro, però vi avverto: non rimanete delusi, ma io la tematica gotica non la tratto praticamente mai, e tutti i miei racconti sono molto diversi da questo (e anche tra di loro, direi).
    Credo l'uomo muoia di paura, ma non sono sicuro...

    comunque, vi propongo invece un racconto completamente diverso, di carattere storico (i dampyriani amano la storia!)
    Signori e signori, la parola a Caius, il secutor!



    Vergognoso. Veramente vergognoso. L'arte gladiatoria! Che fine ha fatto il rispetto per l'arte gladiatoria? Come è possibile che quegli imbecilli del pubblico preferiscano un ragazzino sbranato dalle belve a due veri uomini che dimostrano il loro vero valore nell'arena?
    Già, un ragazzino. Come quello che sta piangendo e pregando nella cella accanto. Anche lui, però, non è per niente intelligente.
    Morirà, e ha meno di sedici primavere. E perché? Perché non ha voluto rinnegare un dio. Come se gli dei contassero qualcosa.
    Tu che ascolti le mie parole, le parole di Caius il secutor, io ti dico, e lo giuro sulle mie armi, il corto pugnale e il leggero scudo, che gli dei servono solo per ingannare gli stolti. Un dio non nota la differenza se tu vivi o muori. Vuole essere onorato, temuto, riverito, e basta. E allora perché prostrarsi, che senso ha umiliarsi di fronte a loro?
    Non so che dio adori il ragazzo, e non mi interessa. Un dio che manda a morte coloro che lo adorano, non deve essere molto differente da un demone.
    Il ragazzo prega. E piange. E ogni volta che il leone ruggisce, dalla sua gabbia in fondo al corridoio, e ruggisce perché ha fame, il ragazzo sa che la bestia ha fame. E allora le preghiere gli muoiono in gola, e solo i singhiozzi escono dal suo petto.
    Il leone ha fame, ma è un problema mio, non del ragazzo. Il ragazzo non lo sa, ma non è quello il leone che lo divorerà. Non fa parte dei leoni che lo divoreranno.
    Quello è il mio leone. Se quel leone si sazierà, sarà con il mio corpo indurito dal freddo, dal caldo e dai combattimenti, non con quello molle, e non avvezzo alla fatica del ragazzo.
    Ho visto la belva mentre veniva condotta alla sua gabbia, mentre noi diventavamo pietra, e cercavamo di non respirare. Il leone non ci ha neanche guardato. Ha sfilato come un duce in trionfo in mezzo alle celle, nella semioscurità, con un passo di una fluidità stupenda, ed arrivato alla sua gabbia, ha ruggito. Ha ruggito rabbia, rancore, minacce, e fame.
    Non ci devo pensare. Lo affronterò e lo ucciderò. Lui è selvaggio? Lo sono anch'io. Lui è feroce? Le anime dei gladiatori da me sgozzati testimoniano che io non sono da meno. Lui è agile? Ed io non ho forse evitato innumerevoli colpi di tridente? Le sue zanne impallidiranno, di fronte al mio coltello.

    Il trahex tornò alla sua cella, sudato ed indolenzito. Il suo avversario, no. Il loro combattimento era finito. Adesso iniziava il mio, e quello della belva venuta dall'Africa.
    Mi vestii meccanicamente. Misi il gambale di cuoio sulla gamba sinistra, controllando che il rinforzo di metallo anteriore non si fosse spostato.
    "Un leone." pensai, sistemandomi la manica di ferro sul braccio destro. "Sarà più dura del solito. So come si muove un retiarius, so come lancia la sua dannata rete e come agita un tridente. Tutte i tipi di gladiatori, all'incirca, compiono gli stessi movimenti: un secutor usa il coltello in una certa maniera, un retiarius scaglia la rete in un'altra, e così via. Ma come diavolo si muove un leone? Come attacca? Come capirò che è stanco, spaventato, o pronto a balzarmi alla gola?"
    Posai l'elmo sulla mia testa. Raccolsi il pugnale e cinsi lo scudo.
    "Dovrò agire d'istinto, come nei primi combattimenti. Maledizione! Ho trent'anni, e dovrò ricominciare da capo!"
    La guardia mi condusse per i corridoi che portavano all'arena. Non parlò, come sempre. La guardia aveva muscoli saldi, ma troppo lardo per poter essere un buon gladiatore. Arrivammo all'entrata dell'arena, e io mi ci gettai dentro a testa bassa, come al solito, per evitare di mettermi a pensare. Se pensi, non esci.
    Sentii il pubblico urlare il mio nome, mentre faticavo ad abituarmi a tanta luce, e non vedevo quasi niente. Con gli occhi semichiusi, levai in alto il pugnale e urlai:
    "Ave, Caesar, morituri te salutant."
    "Ave, Cesare, coloro che stanno per morire ti salutano. Sì, ti saluto Cesare, ma non sto per morire." pensai, mentre ricominciavo a vedere. "Io non morirò oggi."
    Poi, di nuovo, pienamente, la luce.
    Primo pomeriggio d'estate, caldo e polvere che ti impastavano la bocca. La bocca è sempre impastata, nell'arena, anche d'inverno. L'arena è circondata da idioti che hanno perso il valore dell'arte gladiatoria, e che sbraitano e urlano il mio nome.
    L'arena è calda, la bocca impastata, il pubblico chiassoso.
    Nell'arena, adesso, c'è un secutor che nella bocca ha il sapore della polvere e della paura, e c'è un re strappato al suo regno.
    Nell'arena, quella volta, c'eravamo io ed il leone.
    Il leone mi scivolava davanti. Fluiva sulla polvere, nell'arena che ci racchiudeva, con i suoi movimenti da felino, con la forza di un orso e la ferocia di un lupo. Con i suoi piccoli occhi arrabbiati.
    "Certo che però è stupendo." pensai. Non so perché mi misi a pensare una cosa del genere. So solo che è stupido e pericoloso perdersi in riflessioni che possono distrarre, anche quando si combatte con un avversario umano. Figurarsi quando si ha di fronte un mostro del genere.
    Eppure sì, era bello. E terribile e incantevole. E cosi grosso.
    Strinsi il pugnale, alzai lo scudo. Il leone sembrava continuare a scivolare avanti e indietro, rimanendo sempre a tredici, quattordici passi di distanza, ma non era vero. Quasi impercettibilmente, ma il re si stava avvicinando a me, al piccolo secutor. Nel frattempo ruggiva piano, quasi sommessamente, d'impazienza. E ruggendo, si avvicinava.
    "Calma" mi dissi "niente mosse avventate. Cerca di capire come si muove. Per Marte, questo mi stacca il collo mentre io cerco di capirlo! No. Scivola lateralmente. Non ti allontanare, semplicemente spostati. Ma è enorme, per la miseria!"
    Sembrava quasi che crescesse, mentre diminuiva la distanza. Mossi un passo verso destra. Il leone, se ne accorse. L'odore della bestia mi arrivò alle narici. Anche i suoi passi, seppur vellutati, mi sembrò quasi di sentirli. Vicino. E ad ogni pollice che guadagnava, la mia bocca diventava più secca. E sputare in terra non mi sarebbe più stato possibile.
    Continuai a muovermi di lato. Il mostro non mi perdeva un istante. Sì, ero piccolo, ma non mi conosceva, e preferiva non fidarsi.
    Infine il mostruoso re si stancò, e ruggì quattro volte. La prima contro di me, e ruggendo mi assicurò che sarei morto quel giorno. Due volte contro il pubblico, inclinando la testa prima a sinistra e poi a destra, insultando quegli esseri inferiori, indegni di ammirarlo lottare. La quarta volta ruggì per mettere in fuga quello che era rimasto del mio coraggio.
    E poi spiccò un salto.
    La paura della gente comune non è differente dalla paura di un gladiatore. Ma se un leone assale uno qualunque, questo rimane fermo e muore. Un gladiatore, se è bravo, schiva il salto della belva.
    Così cercai di fare. Ma non era così facile. Ci riuscii, ma anche se le zanne del leone morsero l'aria, la sua zampata colpì il mio scudo; e sentii i legamenti del gomito allungarsi innaturalmente.
    Il leone atterrò con grazia nonostante lo slancio. Io mi trovavo alla sua sinistra.
    "Cerca di mordere il collo. È così che uccide. Bene. E allora vieni."
    "Vieni, bastardo!" urlai, ignorando il voto di silenzio dei gladiatori. Gli scagliai persino lo scudo contro, e questo lo fece infuriare. Repentinamente, passai il pugnale sulla mano sinistra. Il braccio sinistro faceva male, ma lo potevo usare. Il braccio destro rimase con la protezione della manica di schegge di metallo.
    Il leone non accettò l'insulto dello scudo.
    Non senza, ruggendo, balzarmi alla gola.
    E che tu ci creda o no, io gli saltai a mia volta addosso, urlando come una divinità in delirio.
    Molte volte, in seguito, ho riflettuto su quegli istanti. Ed anche se fu pazzo, pericoloso e dissennato, credo di aver fatto la cosa giusta.
    La bocca della belva cercava la mia gola, ed io invece gli offrii il mio braccio destro. I suoi denti si chiusero inutilmente sulla mia manica di metallo, e forse qualcuno si ruppe. E mentre gli artigli delle sue zampe dilaniavano il mio addome, tentando di strapparmi alla vita, il mio braccio sinistro cercava disperatamente la sua gola, in mezzo alla criniera.
    La trovò. E affondò il pugnale.
    Cademmo a terra. Il leone continuò a dilaniarmi, ma aveva perso, e lo sapeva, e continuava a lottare solo perché era un grande guerriero. Mi sbrigai ad allargare la ferita, mentre cercavo di difendermi alla meglio con il gambale di cuoio e con la manica di metallo. Correvo il rischio di rimanere ucciso anch'io. Il leone, infine, mi crollò pesantemente sopra, combattendo fino a che non ebbe esalato l'ultimo respiro. Scostai l'enorme corpo da me. Avevo ferite sulle gambe, sull'addome, e tutte e due le braccia ora mi facevano male. Ma valeva la pena di ridursi così, pur di godere dello spettacolo che mi si presentò alla vista quando alzai gli occhi.
    Mai, neanche nel corso dei duelli più appassionanti e delle sfide più sanguinose, un silenzio così lungo e così traboccante di stupore era calato sull'arena. Le stesse persone che avevano gioito e urlato per la morte di un gladiatore, o per quella di un giovinetto cristiano, ora, incredibilmente, tacevano.
    Nel silenzio più assoluto, e con la bocca prosciugata come ad ogni combattimento finito, raccolsi lo scudo e mi levai l'elmo. Il pugnale lo lasciai nella gola del leone.
    E alzai le braccia.
    L'incantesimo che aveva legato così bruscamente le lingue dei presenti, altrettanto bruscamente si spezzò. Il grido "Caius!" esplose da tutte le gole. Assaporai il mio momento di massima gloria. A trent'anni, praticamente la senilità per un gladiatore, io avevo compiuto il mio combattimento più bello, un combattimento la cui memoria avrebbe affrontato il corso dei secoli e che, sicuramente, nessuno dei presenti avrebbe mai dimenticato.
    Ma quando i miei occhi caddero sul cadavere inanimato del leone, mi colse un senso di stanchezza e inutilità.
    Lui era un grande re, ed era morto. Io ero solo un piccolo uomo, ed ero vivo. E non c'era niente di glorioso in questo. O di bello. Cominciai a strascicare i passi verso l'uscita, dove mi attendeva la mia guardia, con la sua espressione immutata. Ma non mi chiese di raccogliere il pugnale, e penso che quello fu un piccolo privilegio che mi fu concesso per ciò che avevo appena fatto.
    Lungo il corridoio oscuro, mentre veniva in direzione contraria e accompagnato da una guardia, riconobbi alla luce delle torce il volto del ragazzo cristiano. Stava per essere portato nell'arena, e aveva ancora le guance umide. Due strisce più chiare sul volto, infatti, riflettevano innaturalmente quella luce fumosa. Chinai il capo, e dopo qualche istante le nostre spalle si sfiorarono.
    Di colpo, lo scagliai a terra e ruotando su me stesso colpii, con tutta la forza che mi era rimasta, la mia guardia con l'elmo e la sua con lo scudo. In un istante fui a terra anch'io, sdraiato al suo fianco, e gli sussurrai nell'orecchio:
    "Nel corpo del leone c'è un pugnale. Usalo prima di venire sbranato."
    Feci appena in tempo a dirlo. Poi, quasi immediatamente, fui costretto in piedi, e con spinte e minacce fui condotto verso la mia cella. Mi girai un secondo a guardare il ragazzo cristiano.
    Era in ginocchio su una gamba, mentre la guardia lo strattonava per costringerlo ad alzarsi. Aveva uno sguardo un po' stupito ed un po' riconoscente. Gli avevo macchiato la veste di sangue. Lo vidi chiaramente, perché una torcia lo illuminava proprio sopra la testa.
    "Non c'è niente di cui essere grati, ragazzo" pensai, tra una spinta e l'altra del mio carceriere. "non mi puniranno neanche. Dopotutto, il mio nome è Caius, il secutor."

    Edited by ####storie - 26/11/2003, 19:54
     
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  5. ####storie
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    due possibilità: o non è piaciuto e non mi si vuole ferire (in tal caso, postate tranquilli, ho le spalle dure) o non se l'è ####to nessuno.

    e va bene, in preda alla disperazione ho deciso di suicidarmi nel modo a me più consono. Addio, mondo crudele:

     
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  6. Ray of Darkness
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    QUOTE (####storie @ 1/12/2003, 12:25)
    due possibilità: o non è piaciuto e non mi si vuole ferire (in tal caso, postate tranquilli, ho le spalle dure) o non se l'è ####to nessuno.

    e va bene, in preda alla disperazione ho deciso di suicidarmi nel modo a me più consono. Addio, mondo crudele:


    No nn farlo! Lasciatemi il tempo vi prego Tra esami, sito e i miei racconti trovo giusto il tempo di postare le risposte....
     
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    Dampyr

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    non fare così dai...appena ho 10 min di fila lo leggo...
    ciao
     
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  8. Nergal
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    Stai tranquillo. Quando trovo un pò di tempo lo leggo visto che il primo mi è piaciuto...cmq non disperare perchè il forum non ha funzionato per due giorni!

    Ciao
     
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  9. CarDestroyer
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    Se il server funzionasse ogni tanto (vedi topic apposito)...
    Dunque, vediamo...
    Per prima cosa si nota l'uso di varie tecniche narrative (hai frequentato/frequenti un corso di scrittura creativa?): nel secondo racconto sono armonizzate con il resto della narrazione, mentre nel primo sono forse un po' forzate. In entrambi, un plauso al dipanarsi della storia, che si arricchisce continuamente di particolari e situazioni.
    Nel primo non mi è piaciuto l'incipit:
    QUOTE
    Apro gli occhi.Per prima cosa vedo un’ombra doppia, riflessa, come di due ragni gemelli ed enormi che mi penzolano davanti alla faccia.
    Trattengo il fiato. Poi la vista si snebbia: sono solo le mie mani. Tutto il resto è indistinto, ma ci sono le mie mani che si spostano nell’indistinto.
    Chiudo gli occhi.

    Soprattutto quel "per prima cosa" è superfluo e stona con l'atmosfera che crei subito dopo.
    Sempre sul primo: come Tsam e Nergal, sono contrario alle storie senza un finale preciso. Personalmente, avrei tolto l'ultimo paragrafo, terminando con "COSA VUOL DIRE!", senza creare ulteriore aspettativa, altrimenti sembra di dire al lettore "io so di chi si tratta e tu no!". Geniale il cambio di prospettiva dialogo/monologo!
    Nel secondo avrei fatto vincere il leone... Okay, scherzo!
    C'è dinamismo. E qualche ridondanza:
    QUOTE
    Mai, neanche nel corso dei duelli più appassionanti e delle sfide più sanguinose, un silenzio così lungo e così traboccante di stupore era calato sull'arena. Le stesse persone che avevano gioito e urlato per la morte di un gladiatore, o per quella di un giovinetto cristiano, ora, incredibilmente, tacevano.
    Nel silenzio più assoluto, e con la bocca prosciugata come ad ogni combattimento finito, raccolsi lo scudo e mi levai l'elmo. Il pugnale lo lasciai nella gola del leone.

    Ho capito che c'è silenzio, non importa che me lo ripeti .
    Il mio preferito è il secondo, perché è più vivo e vero. Il primo, come ti ho detto sopra, mi sembra un bell'esercizio letterario.
    C'è stoffa ragazzo!

    ...usi molto la prima persona: sarei curioso di sapere come te la cavi con una storia corale...

    CarDestroyer "ColuiChePrimaOpoiNeBuscaUnSaccoEunaSporta"
     
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  10. Tsam
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    Oppps....xxxxstorie..(d'ora in poi ti chiamerò xxxx per abbreviare....sono pigro..)..avevo letto il tuo racconto..ma mi ero dimenticato di postare il commento....(mea culpa..)..;allora il soggetto..trattando in qlk modo di storia Romana mi ha affascinato sicuramente....il racconto come detto da Car si sviluppa molto bene..e se devo proprio trovare un difetto..sono i tuoi finali che, pur piacendomi, nn mi convincono al 100%..cioè..un bambino con un ougnale nn mi convince molto....a parte questo..complimenti vivissimi....aspetto il n 3..ciao
    tsam
     
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  11. ####storie
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    Beh, prima di tutto, non vi preoccupate, non volevo mettere fretta a nessuno, stavo solo scherzando.
    Caro Car Destroyer, no, non seguo nessun corso, ma imparo da tutto ciò che leggo. Per esempio, a posteriori, nel primo racconto mi accorgo di aver rubato il punto di vista multipla a Dracula e dr Jeckyl e mr Hyde e parecchie tecniche narrative (specialmente nell'ultimo paragrafo) a Baricco.
    Cmq, mi capita raramente, ma sono d'accordo praticamente con tutte le critiche che sono state mosse. E le giustifico anche.
    Il primo racconto è - a tutti gli effetti - un esercizio letterario.
    Nasce infatti (pensa, sto raccontando la storia di una storia!) per partecipare ad un contest su un sito. Il folle mandato era questo: Scrivere un racconto Gotico inserendo all'interno i frammenti di frase: “…terzo giorno dopo la luna…
    ritorno de… sciami disperati… affogheranno nel Solco… piegati… " ma che non abbia niente di soprannaturale.
    Esatto, un racconto gotico senza niente di soprannaturale. Frankenstein senza Frankenstein. Dracula senza Dracula. Un film porno senza il colore rosa. avete letto la mia soluzione al problema.
    Per quanto riguarda il secondo, il discorso è molto diverso. Si tratta di un racconto scritto molto tempo prima, con ingenuità stilistiche evidenti. Mi ha praticamente assalito quella storia, ma prima di buttarla giù mi sono documentato sui gladiatori, procurato un film sui leoni, e scritta.
    Credo sia una delle storie migliori, e soprattutto una di quelle che non rischia di essere censurata!
    Vi ringrazio molto. Tra un po' posterò un'altra storia. grazie e a presto!

     
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  12. ####storie
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    Ah, e scusa Tsam, non avevo letto, grazie mille!
     
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  13. Bloortianarmy
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    Bravo, ####storie.....una buona prestazione! Il primo mi è piaciuto di più...anche per quell'effetto "climax" non risolto che crea nel finale....continua così....
     
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  14. Nergal
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    Veramente bello! Mi è piaciuto di più il secondo...dà una bella carica emotiva...e poi c'è una fine! Bravo bravo bravo
     
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  15. ####storie
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    Ok Grazie tutti, raga.
    Credo sia arrivato il momento di postare il terzo racconto. Per dimostrarvi, come ho detto nel topic "la storia del forum" che Bassano Romano sarebbe adattissimo a ospitare una storia di Dampyr, ecco a voi...

    4000 anime

    Così questo paese, dove non sono nato, ho creduto per molto tempo
    che fosse tutto il mondo. Adesso che il mondo l’ho visto davvero e so che è
    fatto di tanti piccoli paesi, non so se da ragazzo mi sbagliavo poi di molto.
    Cesare Pavese, La luna e i falò




    Prima della recita, si mette la scenografia.
    Prima della storia, allora, parliamo un po’ dell’ambientazione.
    Bassano Romano si chiama così perché è situato in una conca: dentro, non prendono né cellulari né stazioni radio. Una capoccia è rotolata fin qui dalle campagne circostanti: era la capoccia di San Gratiliano, il patrono locale. Il corpo è rimasto a Civita Castellana.
    Dove si è fermata la testa del giovane martire, è sorta una piccola chiesa: grattando dietro i suoi affreschi, si è visto che sotto se ne nascondevano altri, più antichi.
    In fondo, tutto Bassano è così. Lo frequenti, ci vivi, conosci la sua gente. Eppure hai sempre la sensazione che ti nasconda qualcosa.
    Questo sentimento non l’aveva ancora provato Serafino (nome orribile, anche lui concorda) che pure veniva da Roma in vacanza a Bassano tutte le estati. Forse perché era un uomo occupato, Serafino, abituato sì a passeggiare e a riflettere, ma sull’andamento del mercato, la situazione politica, la guerra in corso. Era un uomo pacioso, in fondo, con una pancia paciosa. Spesso, mentre sua moglie si occupava della bambina già grande e del neonato, vigliaccamente usciva “a comprare il giornale. Ti serve qualcosa?” “Le sigarette.”
    Quando era in vacanza a Bassano, Serafino viveva nei borghi, cioè nella sua parte più antica (non perdo tempo a descriverli: case ammucchiate caoticamente e ripide scale sono comuni ad ogni borgo medievale) e uno stretto corridoio di case collegava casa sua con la piazza del comune, della chiesa e del Palazzo Odescalchi. Serafino percorreva quel corridoio (dice che saranno state le due, due e mezzo) e arrivò davanti alla Chiesa. A fianco della Chiesa c’è una scalinata che porta alla casa del parroco, ma Serafino non lo sapeva.
    Per questo non fu stupito quando vide il bambino seduto in cima a quelle scale, composto e rigido come un idolo di legno, un bambino biondo, tragicamente serio come solo i bambini sanno essere. Serafino si guardò intorno e poi tornò a fissare il bambino. Non c’era più. Serafino si fermò un attimo, aggrottando le sopracciglia. Forse era entrato in una porta. Continuò a camminare. Ma un’angoscia sottile, se mi permettete l’espressione abusata, lo seguiva. Da vicino.


    Bassano è un paese di presidenti, ha detto qualcuno; questo perché ci sono così tante associazioni, che delle 4000 anime che lo abitano, 2000 sono anime di soci e 2000 sono anime di presidenti. Bassano è un paese che si accontenta: i fornai fanno cinque filoni di pane, anche se ne venderebbero tranquillamente uno in più, e se gli vai a chiedere il pane all’una si sforzano per non riderti in faccia. I ragazzi si accontentano: aspirano a diventare impiegati dell’aeronautica, o ad aprire un negozio di vestiti per bambini che fallirà dopo due mesi, oppure ad aggiungere un altro bar alla lista. Perché Bassano è anche il paese dei bar: ce ne sono tredici. In uno di questi Serafino comprò le Marlboro rosse per sua moglie, rassegnato a comprare le sigarette del cui fumo si sarebbe lamentato poche ore dopo. Si diresse verso casa, sfogliando il giornale mentre camminava. Assorto nella crisi in medio oriente, passò davanti alla Chiesa a testa bassa, leggendo. Gettò un’occhiata quasi involontaria verso la scalinata: il bambino riccio, biondo, rigido muto e serio gli fece un cenno con la mano, come a dire vieni.
    Serafino alzò la testa di scatto, stropicciando il giornale: non c’era nessun bambino sulla scalinata. Le scale erano usurate e deserte.
    Eh no, pensò Serafino, mentre il cuore gli batteva forte (“per la rabbia”, mentì) non lascerò che uno stupido ragazzino mi prenda in giro. Si arrampicò su per le scale al passo incalzante del suo cuore agitato. In cima c’erano due porte, una frontale e una a sinistra.
    “Se la porta di sinistra fosse socchiusa,” pensò “un ragazzino potrebbe scivolarci dentro velocemente. Ma così velocemente?”
    La porta si aprì.
    “…e la prossima volta, per favore” disse il prete spazientito “venga a confessarsi in Chiesa!” Una vecchia bassa e brutta, borbottando acida fece per uscire, quando prete e vecchia si trovarono di fronte Serafino a sbarrargli la strada.
    “Buongiorno.” lo apostrofò il prete, perplesso “Posso fare qualcosa per voi?”
    Serafino era una statua di cera. Poi si scosse e disse:
    “Ecco, niente. Ho solo visto un bambino, qui sopra, che mi ha fatto un gesto e poi è sparito. Deve essere entrato in quest’altra casa.”
    “Mi dispiace” rispose il prete “non è possibile. Quella non è una casa, è uno stanzone dove facciamo le riunioni dell’ACG.” Alzò le spalle. “Solo io ho le chiavi. Comunque se mi descrive il bambino, dovrei conoscerlo. Finché sono piccoli, ancora ci vengono a Messa.”
    Serafino si schermì:
    “No guardi, non è importante devo essermi sbagliato. Comunque era un bambino normale, biondo, riccio…”
    “Un fiarello biondo e riccio!” esclamò la vecchia “Su ‘stè scale? E che ed’è sparito all’improvviso? Nun è che ed’era 'o Riccetto?”
    “Conosce quel bambino?”
    “ ‘O Riccetto nun ed’è un fiarello! Ed’è un fantasma. Un fantasma che s’è sempre fatto vedè su stè scale!”
    Il prete, scettico, si intromise.
    “Voi nun o potete sapè!” ribattè la vecchia. “Sete giovane, nun sete de Bassano. Ma quanno ed’ero giovane io, ‘o prete de tempo ‘e guerra nun ce voleva venì ad abità mecchì, dove abitate voi, perché c’aveva paura de ‘o Riccetto, ‘o fantasma de un fiarello che a gente diceva de avè visto mecchì, su ‘stè scale. Poi ‘o prete se decise a venicce ad abità pe fa sta zitta ‘a gente. Però se portò su nipote a dormicce.”
    Si fermò pensierosa.
    “Strano, ed erano anni che nun se faceva vedè. Eppoi de giorno.”

    Serafino era tornato a casa inquieto. Non l’avrebbe mai ammesso, ma non era tranquillo. Il suo proverbio preferito, che aveva ereditato dal padre, era “Di quello che vedi, la metà credi. Di quello che si sente, non credere niente.” Tuttavia, era inquieto.
    “Allora” pensò, a cena, distratto, mentre sua moglie imboccava il neonato e sua figlia tormentava il telecomando “proviamo ad analizzare analiticamente la situazione: 1) ho visto realmente un bambino. In tal caso 1.a) il bambino si è infilato dentro la casa del parroco, e questo mi ha mentito insieme alla vecchia: escluso. Per quale motivo? Per farsi una risata? Troppo complicato per questo. Allora 1.b) Il bambino si è infilato nell’altra porta, di cui per ragioni ignote possiede un duplicato della chiave: anche questa è da escludere; non avrebbe fatto in tempo, e l’avrei visto. Allora prendiamo in considerazione la possibilità numero 2) non ho visto nessun bambino, il sole delle due picchia e mi ha dato alla testa: improbabile, ma non impossibile. E sempre preferibile alla possibilità numero 3)” si disse, a letto, rigirandosi su un fianco mentre sua moglie accanto a lui leggeva con la lampada accesa “possibilità numero 3) ho visto un fantasma, e questo mi ha chiamato. Possibilità 3.a) non è stato sepolto e vuole che io rintracci le sue ossa affinché lui possa riposare in pace. Possibilità 3.b) un mio antenato l’ha ucciso e vuole vendicarsi su di me. Brr!” Rabbrividì, mentre sua moglie, come al solito, borbottava nel sonno. “Possibilità 3.c) il fantasma OH basta! Mi scoppia la testa.” Si girò sull’altro fianco e cercò di dormire. Dopo un po’, ci riuscì.

    Il giorno dopo. Due, due e mezza.
    “Tesoro, esco a prendere il giornale. Ti serve qualcosa?” “Le sigarette.”
    Serafino camminò guardingo attraverso lo stretto corridoio di case. Arrivo nella Piazza. Guardò la chiesa. Si girò di scatto verso la scalinata, come chi teme di vedere qualcosa. Non c’era nessuno. Non c’era niente.
    Si sentì ridicolo come poche volte nel corso della sua esistenza. Giurò che non avrebbe mai raccontato a nessuno quella storia se non forse profondamente ubriaco, e alla luce del giorno gettò bambini, fantasmi e riflessioni notturne in un gigantesco cassonetto simbolico. E andò a comprarsi il giornale.
    Al ritorno, le Marlboro nel taschino, leggeva dell’aggravarsi della situazione in medio oriente. Arrivato davanti alla Chiesa, si impose di non voltarsi oltrepassando la scalinata. Per sicurezza, tornò ad interessarsi del medio oriente,
    “Io avevo il compito di pulire le spade.” disse la voce del bambino sulle scale. Serafino alzò la testa, stralunato. Fece appena in tempo ad intravederlo. Uno sparo esplose alle sue spalle: si voltò. Era una miccetta di uno stupidissimo ragazzino. Un vecchio scatarrò e bestemmiò. O’ Riccetto era già scomparso.

    Tornato a casa, come prima cosa andò a farsi una doccia fredda. La situazione era semplice, e le interpretazioni si riducevano a due: o stava diventando matto o aveva visto un fantasma, e non sapeva quale delle due fosse preferibile. A cena rovesciò il sale, e si macchiò con la minestra. Poi, si aggirò irrequieto per casa, percorrendola avanti e indietro. Doveva fare due passi.
    “Tesoro, vado a.. a fare due passi. Ti serve qualcosa?” “Le sigarette.”
    rispose la moglie, con un rombo metallico. Serafino si recò in cucina: sua moglie, dalla testa fino alla vita era stata fagocitata dal forno aperto. Gambe e sedere rimanevano fuori.
    “Non riesco a pulirlo come si deve.”
    Il sedere oscillava nello sforzo.

    Serafino prese la direzione opposta alla scalinata, vagando per zone di Bassano le cui case sono abitate da anziani che alle dieci hanno spento la televisione, chiuso le serrande ed sono andati a dormire: in pratica, l’impressione è quella di un paese bombardato. Qualsiasi fantasma è meno spettrale, pensò Serafino, e tornò indietro. Verso Riccetto.
    Fortunatamente, le scale erano deserte. Serafino tirò un sospiro di sollievo. Fece un passo.
    “Io avevo il compito di pulire le spade. Servivo in quel palazzo là.” I peli della schiena di Serafino cambiarono tutti direzione. Anche lui voltò la sua testa: Riccetto, che intravedeva nel buio, in cima alla scalinata, tendeva un braccio verso Palazzo Odescalchi (o quello che c’è rimasto dopo che i padroni si sono portati via i camini e altri beni più trasportabili) e sedeva rigido, Riccetto, come un piccolo re su un piccolo trono.
    “Io pulivo le spade. Ce n’erano due, accanto al camino del signore, due spade grandi, uguali, incrociate, e io infilavo la testa sotto per pulire bene dove quasi si toccavano. Ma una delle due spade si sganciò. E poi anche l’altra.”
    Tacque. Come Serafino. Come il paese tutto.
    All’improvviso, Serafino sbiancò, urlò “Maria!” e si precipitò verso casa. Riccetto non c’era già più. Corse, corse corse più di quanto la sua pancia gli permetteva, corse su per le scale, rosso, tentò d’infilare la chiave, imprecò, ci provò di nuovo e aprì la porta, corse in cucina.
    La sua figlia più grande, Maria, più grande ma sempre piccola, aveva la testa infilato nel forno. Ma il forno, sbilanciato stava crollando in avanti, mentre Maria si ritraeva. Aveva ancora la testa nel forno, il cui spigolo sembrava volutamente puntare al suo collo bianco.
    Con la forza della disperazione Serafino afferrò la gamba di sua figlia e la strattonò va. Il forno non ebbe la sua testa, e si schiantò a terra, con un rimbombo metallico e cupo.
    Sua moglie accorse dal bagno con l’accappatoio e gli occhi sbarrati.
    “Cos’è successo? Mio dio che è stato?”
    Impossibilitato a parlare, Serafino si mise a sedere e affidò la bambina piangente alla moglie.
    “Volevo pulire il forno” disse e pianse Maria “volevo aiutare la mamma!”
    “Oh Santa Maria Santissima” esclamò la donna “e non ti sei fatta niente piccola mia” e la scrutava e la abbracciava.
    “No -singhiozzo- non ho -singhiozzo- niente!”
    Partì il primo schiaffo. E atterrò sulla guancia della bimba.
    “Ti -schiaffo- avevo -schiaffo- detto -schiaffo- di -schiaffo- non -schiaffo- avvicinarti -schiaffo- al -schiaffo- forno!” Schiaffo. Schiaffo schiaffo. Schiaffo.
    “Meno male che c’eri tu!” disse sua moglie a Serafino, quando la bambina scappò in camera sua a piangere. “ma come facevi a sapere che disastro stava combinando quella disgraziata?”
    Serafino, sulla sua sedia, non ancora ripresosi dagli ultimi avvenimenti, sussurrò:
    “Me l’ha detto…” Ma non finì la frase.

    E questa che ci crediate o no, è la vera storia dell’ultima apparizione di o’ Riccetto. Da allora non si è più visto, ma voi provate a venire qua, a Bassano; non andate ai giardini pubblici, o in uno dei suoi tredici bar, e non andate a fare una passeggiata per Via San Gratiliano, venite qui, nel suo cuore più antico, superate il ponte, la sua antica porta, e una volta arrivati nella piazza del comune, della Chiesa e del palazzo, guardate la chiesa. Alla sua destra c’è una scala. Lì qualcuno giura di aver visto o’ Riccetto. In una notte estiva appostatevi lì, in piazza. Forse avrete fortuna.

     
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